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St21 Gazette Marzo 2021

BLACK CINEMA

by Stritti

ST21 Gazette Marzo 2021

Avevamo parlato di Hip Hop e cinema nel mio ultimo articolo ma questa volta approfondiamo il discorso. Qui si parla naturalmente di cinema prettamente di stampo ” Black “, che prende le sue radici dai Blaxploitation, genere afroamericano molto in voga negli anni 70, di cui ricordiamo tra i più famosi: Shaft,  Sweet Sweetback’s Baadasssss Song, Superfly, Foxy Brown, Donne in Catene, Coffy; per citarne solo alcuni, la cui colonna sonora era strettamente Funk e sono diventati film icone che colpirono l’immaginario dei primi Hip Hoppers come nei film di Bruce Lee, i Guerrieri della Notte, Flash Gordon, etc, etc. Le citazioni sono centinaia nelle produzioni degli ultimi trent’anni in ambito sia cinematografico o nei videoclip, sia nei testi e nei personaggi interpretati virtualmente dai vari rappers. Andiamo in ordine, faremo vari salti temporali così da avere un quadro ben preciso dell’argomento e tutte le tessere del puzzle saranno poi correttamente ordinate . Il primo film sicuramente è Wild Style diretto da Charlie Ahern con la consulenza e l’appoggio di Fab Five Freddie  nel 1983; un cine-documentario su quello che era la Cultura Hip Hop in quel periodo, un film crudo e vero che ha come protagonista un Writer, interpretato da Lee Quinones, che si taggava Zoro, del quale ricordiamo scene meravigliose con Grandmaster FlashRock Steady CrewBusy BeeCold Crush Brothers e molti altri. L’anno successivo arrivò il risvolto commerciale a New York con Beat Street, prodotto da Harry Belafonte e tutta la scena newyorkese, mentre a Los Angeles invece arrivò con Breakin’ e Breakin Electric Boogaloo questi usciti a pochi mesi di distanza. Sia Breakin che Beat Street ebbero un grande successo e furono tra i maggiori responsabili per il boom del Breakin’ in Italia; sebbene Wild Style rimane ancora oggi un film per veri appassionati dato il suo concept meno commerciale.

La Tournée per il lancio di Beat Street portò in Italia sia i Rock Steady Crew che i Magnificent Force sia nelle manifestazioni delle maggiori città, sia in varie trasmissioni televisive. Dopo il successo di questi film ovviamente il Breaking arrivò ovunque, e solo dopo i film, anche in serie tv o pubblicità.
Da lì a poco, uscì un film dal titolo Body Rock con Lorenzo Lamas (in Italia famoso per il telefilm renegade), un “cult” per gli appassionati, ma di base un film abbastanza mediocre (ricordiamo la scena con i NY City Breakers). Sempre più scarso ricordiamo Breakdance dietro le sbarre che era un film di danza dove il Breaking non c’era, ma il titolo era usato come escamotage per portare il pubblico nelle sale. Non posso non menzionare un altro film sulla danza come Flashdance, un successo mondiale che portò i Rock Steady Crew con la loro esibizione su I Just Begun e divenne la crew più famosa del mondo.

Nell’85 invece esce un film meno conosciuto ai molti, con la regia del grande Sidney Poitier basato sulla danza moderna ma con la partecipazione dei Dynamic Force, che in quel periodo comparivano anche nella puntata di Fame (Saranno Famosi) dal titolo “Dance – Voglia di Successo”.
Nello stesso anno esce per la Motown “L’ultimo Drago” che era un musical ispirato al filone delle arti marziali, tra i protagonisti, Vanity, reduce dal grande successo di Purple Rain con Prince e Leroy Green, da questo film il ruolo del cattivo Sho’nuff fu ripreso più volte nell’ambito Hip Hop, primo tra questi Busta Rhymes nel video “Dangerous”. Ovviamente non c’erano solo i film dedicati alla danza, ma arrivarono anche lavori dedicati al rap, primo fra tutti Krush Groove, ispirato alla nascita dell’etichetta Def Jam Recordings, dove erano presenti i Fat Boys, Run DMC, Sheila E, Curtis Blow e debuttava un giovanissimo LL Cool J, tutto questo nel 1985, dove nello stesso anno usciva anche Rappin’ con la regia di Joel Silberg, lo stesso regista dei due “Breaking”, ma il successo non fu lo stesso, il protagonista era Mario Van Peebles, figlio di Melvin van Peebles che era il padrino del filone Blaxploitations.
L’anno successivo debuttava uno dei registi più importanti per il cinema afroamericano e ancora oggi “epicentro” per quello che riguarda questa cultura, sto parlando di Spike Lee. Il suo primo film seguito da Aule Turbolente era “Lola Darling”, negli ultimi anni su Netflix sono arrivate due bellissime stagioni della serie tv “She’s Gotta Have It” ispirata al film dove anche voi potete ammirare “Nola Darling” (titolo originale del film). Chiaramente di Spike Lee è doveroso citare Do The Right Thing dell’89, uno dei film più importanti della cultura Hip Hop che lo ha reso celebre in tutto il mondo e il legame con i Public Enemy che fu d’ispirazione per tutti gli artisti di quel periodo.
In Italia negli anni 80 eravamo ancora “giovani” per avere prodotti cinematografici Hip Hop; ci fu un singolo esperimento fatto da Paky, del tutto casalingo, ma rifletteva i primi film in stile Beat Street che si chiamava naturalmente Hip Hop. Il primo mediometraggio italiano fu Semiautomatico del 1999 di Alex Sikabioni con GMAx, Michael Calandra, Chef Ragoo e Primo Brown.

ST21 Gazette Marzo 2021

Nell’88 poi arrivò un film che denunciava la situazione delle gang di Los Angeles, una grossa produzione con Sean Penn la cui colonna sonora (completamente Hip Hop) è capitanata dal singolo “Colors” di Ice T, che dava anche il titolo al film stesso e da qui partirono molti film che caratterizzarono il decennio successivo come: Boyz in the Hood di John Singleton in cui debuttarono come attori sia Ice Cube sia Cuba Gooding Jr, un film icona per il genere, ma arrivarono anche South Central, Nella Giungla di Cemento, Poetic Justice con 2Pac e Janet Jackson.

L’altra costa rispose con King of New York, Juice, Jungle Fever di Spike Lee poi arrivò new Jack City di Mario Van Peebles che lanciò definitivamente Wesley Snipes dove interpreta Nino Brown. Wesley debuttò nella prima parte del video Bad di Michael Jackson, ma nel film troviamo anche Ice T, Chris Rock, Keith Sweat, i Guy e Flavor Flav.

Questo filone drammatico arriva anche ai giorni
nostri; fotografie di una società corrotta, mafie, razzismo e violenza, purtroppo ancora oggi sulle pagine dei quotidiani di tutto il mondo.
Arriva anche in Italia, ma su un canale minore, un film comico di Chris Rock con una morale ancora in voga in quest’ultimo periodo. Il film è una parodia dei NWA, che cerca di far capire quanto il Gangsta Rap si discostasse dalla cultura Hip Hop e aveva in comune solo il rap, ma la differenza tra fra chi fotografa uno scenario e chi ostenta una condizione, come anche artisti costruiti “a tavolino” solo per fini commerciali. Il film è molto carino e ve lo consiglio vivamente, descrive tutti gli stereotipi di quel periodo, che purtroppo trent’anni dopo ritroviamo ancora attuali, i soliti “corsi e ricorsi”.

Troviamo ancora a danza in House Party con i Kid’n’Play che continuò per quattro capitoli, ma fu l’ultimo capitolo di un’epoca meravigliosa, per poi essere riaperto anni dopo con Save The Last Dance.

In House Party di Reginald Hudlin troviamo nella parte iniziale una citazione, tra le mille molto importante: il padre di Kid interpretato da Robin Harris (RIP) che parla del film Dolomite un Black Exploitations di Rudy Ray Moore, che ricordiamo anche come uno dei padrini del rap con i suoi dischi espliciti, poi portato sullo schermo nel 2019 da Eddie Murphy nel film Dolomite is My Name che potete trovare su Netflix.

Un altro filone che ho amato molto è quello più poetico, romantico e musicalmente più Soulfully: Mo Better Blues, Jason’s Lyrics, Love Jones, Set It Off, Donne; The Best Man e Soul Food dove è presente una colonna sonora più Soul con i brani Hip Hop di solito più Jazzy. Meraviglioso il film “Donne” con una colonna sonora tutta al femminile dai nomi davvero imponenti.
Con queste ultime citazioni, direi che la prima parte di Black Cinema giunge al termine, nella prossima parleremo degli ultimi 20 anni: tra commedie, una nuova ondata di film sulla danza e l’arrivo delle serie tv.

STRITTI


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DEEPLE#6

J DILLA

«Credete di sapere che suono fa l’acqua che scorre? Se l’avesse ascoltata Jay, avrebbe sentito una vibrazione differente».

Cit. Proof

Bentornati a tutti! In questo numero della rubrica di Deeple parleremo di una delle leggende rivoluzionarie della musica Hip Hop: James Dewitt Yancey aka J Dilla. Come per molti amanti del genere, J Dee ha rappresentato per me un amore a primo ascolto, una completa immersione in una dimensione altra, il vero e proprio incontro con la composizione musicale messa in atto grazie al suo fedele strumento: l’MPC 3000. Sarà ripetitivo dirlo ma “J Dilla (really) changed my life”. Non resta che capire il perché!
James nacque il 7 febbraio del 1974 a Detroit, nel cuore del Michigan operaio, da Maureen e Beverly Yancey. Sin da molto piccolo, il giovane J Dilla è stato immerso nella buona musica avendo una mamma cantante e amante dell’opera ed un padre vocalist e bassista jazz. I genitori, inoltre, preoccupati per l’alto grado di disoccupazione giovanile tipica di Detroit, hanno deciso di occupare gran parte del tempo libero di Dilla con corsi di musica, cori e altre attività in chiesa. Il talento del giovane è stato subito dimostrato dal suo eccellere con pianoforte, violino e violoncello. D’altronde la sua conoscenza musicale è fortemente percepibile all’interno dei beat, giudicati dal direttore d’orchestra Antwood Ferguson come delle vere e proprie composizioni. A Dilla piacevano infatti tempi e ritmi non convenzionali, differenti dagli standard quattro quarti delle classiche battute. Ma è stato grazie all’approccio con la batteria che Jay è rimasto affascinato dal magico suono Boom Bap:
“When I heard Run DMC’s ‘Sucker MCs’ and Whodini’s ‘Big Mouth’, it made me curious to how the beats were made. Those songs were the first time I heard the beats that weren’t melodic – just drums. Being someone who was taking drum lessons at the time, that made me real curious. That led me into deejaying, which slowly led to me deejsying parties and that eventually led me into production.”
Un giorno la fortuna ha voluto che James incontrasse sulla sua strada un certo Amp Fiddler, il quale lo ha portato nel suo studio di registrazione dandogli libero accesso e spiegandogli il funzionamento di tutta la strumentazione. L’obiettivo era quello di creare un gruppo per iniziare a produrre musica. Da qui l’unione con T3 e Baatin, tra i migliori Mcs a quel tempo, per creare quelli che sarebbero diventati gli Slum Village. Il successo non ha tardato ad arrivare e molti sono ora i nomi associati alle produzioni di Dilla, come Q tip e gli ATCQ, Erykah Badu, Common, i Pharcyde, Busta Rhymes etc.. Collaborazioni portate avanti fino all’uscita del progetto solista “Welcome to Detroit”, espressione del suo potenziale a tutto tondo.

ST21 Gazette J DILLA

A detta di chi lo conosceva, Jay era un lavoratore instancabile, non prendeva neanche un giorno libero e passava la sua giornata tra dischi di ogni tipo, producendo e andando la sera nei clubs con amici. Non è mai stato un purista, né ha mai rispettato ossequiosamente i precetti allora validi sul sampling e sulle regole del gioco. È sempre stato acqua fluida, spugna che assorbe ispirazione da ogni cosa. Di fatto tra l’uso innovativo delle tecniche di chopping dei samples, il suo rifuggire l’uso del quantizer, ed il suo modo di percepire la musica, ha davvero rivoluzionato il suono della musica hip hop restringendo la distanza tra questo genere nato dal basso e la composizione classica. Sempre a detta di Antwood, alcuni suoi beat assomigliando alla musica di pianisti impressionisti come Eric Satie e Debussy ed io sono d’accordo.
J Dee era sicuro del suo lavoro, probabilmente conscio di tutto l’impegno e l’amore in esso profuso. Quasi ossessionato dalla perfezione visibile nel modo di ordinare dischi e vestiti e in come maneggiava ogni beat perché nulla fosse fuori posto. Nonostante questo, era affascinato dalle irregolarità dei pattern sonori.

Non a caso una delle frasi da lui ispirate rimane: “Don’t quantize, be human”. Ciò ha reso i suoi beat fluidi, incategorizzabili, essenziali e profondi allo stesso tempo, umani, organici eppure trascendentali, ruvidi ed ermetici, simili ad opere teatrali e melodrammi. La sua grande ispirazione di partenza Pete Rock, da cui ha preso il soul, la smoothness e la pulizia. Anima gemella Madlib, competitor e collega con cui passava giornate interne in studio. Jay era assimilabile a Jhon Coltrane, grande sassofonista Jazz, Madlib il suo Miles Davis. Purtroppo, il genio di Dilla è stato spento il 10 febbraio del 2006 dal Lupus, una rara malattia che colpisce sangue e sistema immunitario, esattamente a tre giorni dal 32° compleanno e dall’uscita del suo testamento: l’album Donuts mixato in ospedale.
Ho scritto questo articolo immersa nella sua musica, che ancora oggi dopo anni continua a farmi venire la pelle d’oca e a trasportarmi in un glossy dreamy world, rotondo e pieno. J Dilla non solo ha rivoluzionato la mia vita e la mia danza, ma il modo di fare ed ascoltare musica, lasciando una traccia indelebile, senza tempo e ispirando moltissimi artisti.
Inoltre, Antwood Ferguson ha in seguito riarrangiato molte delle tracce di Dilla con la sua orchestra e ha creato uno show in suo onore al quale hanno contribuito grandissimi musicisti di tutti i generi, nonché il fratello Illa J e la madre Maureen. Lo show si chiama Timeless: suite for Ma Dukes e lo trovate completo su Youtube. Se siete degli amanti o se vi ho in qualche modo incuriosito, vi consiglio di darci un’occhiata. Nel frattempo, alla prossima!

Peace

Federica Albo aka Umana

https://www.instagram.com/federica.albo


SPORT O ARTE?

QUESTO E’ IL DILEMMA

Sportivi o artisti? La domanda di fondo a cui tutti noi dovremmo dare una risposta definitiva. È un periodo in cui entrambe le comunità vivono un profondo momento di delusione, siamo stati messi in discussione, soffocati da un senso di verticalità delle grandi decisioni che non ci spettano e che non sempre si dimostrano uguali tra il volere dell’agorà popolare e la guida di una nazione. Tra queste scelte c’é sicuramente lo sgomento che circola per l’accorpamento del ministero dello Sport; vuoi per un’esigenza di ingranaggi nella macchina istituzionale, vuoi per chi in questo ci vede una volontà politica ed una triste visione culturale di fondo del nostro paese. Si, perché in Italia lo sport é importante, ma evidentemente solo quando si parla di risultati competitivi e non di cultura sportiva. Purtroppo a vedere dai preoccupanti segnali istituzionali siamo in un bel pasticcio, perché se é vero che <> allora lo sport italiano il sole non lo vede neanche all’orizzonte. Una cosa é certa, tutti siamo riconoscenti ai nostri campioni, perché in comune fra noi e lo sport c’é lo sforzo sovrumano, la costanza, la dedizione, ed una passione che diventa la propria vita. Ma se spostiamo la nostra attenzione in maniera critica sull’argomento, ci accorgiamo che in fondo per noi la questione é un’altra. Diciamo che una volta le idee erano molto più chiare, la danza era una forma d’ arte e non uno sport. Ma ad un certo punto nel sistema italiano la danza “di base” é stata collocata con le discipline sportive e non con le discipline artistiche; e di questo però il mondo dell’arte coreutica dovrebbe fare un’enorme “mea culpa”; perché in fondo lo sport non ha fatto altro che accoglierci nel suo concetto di universalità; cosa che nella danza é venuto a mancare sempre di più.

Così le istituzioni di formazione coreutica, con la storia di difendere “il primato”, si sono sempre comportate come se la pratica della danza nei percorsi iniziali dovesse essere cosa per pochi e non per tutti. Dunque nelle scuole di danza private, nelle associazioni e nei centri culturali non va più bene, e si é preferito fare un semplice distinguo.
Ma in fondo tutti sappiamo che i danzatori e i ballerini, non nascono già dentro le accademie i teatri e le compagnie, no, la stragrande maggioranza, se non la quasi totalità, di chi poi accede a percorsi professionali o accademici successivi, alla fine arriva dalle stesse realtà che non sono mai state realmente riconosciute, ma che sono un tassello fondamentale nella trasmissione del sapere e della tradizione artistica della danza italiana. A dimostrazione di una chiusura totale del mondo coreutico, ancor peggio, troviamo l’ultima legge entrata in vigore: «DISPOSIZIONI IN MATERIA DI SPETTACOLO E DELEGHE AL GOVERNO PER IL RIORDINO DELLA MATERIA» legge 175 del 27/12/2017. Questa fissa un principio storico e introduce una normativa che regolamenta l’insegnamento della danza, tramite la definizione di percorsi formativi e professionalizzanti validi su tutto il territorio nazionale; nell’ambito dei quali, la figura dell’insegnante di danza acquisirebbe la piena dignità professionale che mai, incomprensibilmente, le era stata riconosciuta.

Ma allo stesso tempo ne esclude centinaia di migliaia di soggetti interessati, come insegnanti che operano in questa situazione a volte ormai anche da 30 o 40 anni! Ma questa non é mai diventata realtà, dato che si attribuiva al Governo il potere di esercitare la delega entro 1 anno dalla data di entrata in vigore della legge stessa, quindi il termine di esercizio è scaduto nel 2018.

Tutto da rifare, e forse per fortuna verrebbe da dire, dato che, come sempre, l’istituzione di questi percorsi formativi e professionalizzanti, prevedeva “il monopolio” da parte di fondazioni, enti coreutici e istituzioni, che sono le stesse che in fondo non hanno mai compreso realmente la portata della questione, ma ne fanno un’operazione di riconoscimenti di valore e di pregio artistico; senza poi però creare un vero meccanismo di congiungimento fra la base e loro, che dovrebbero essere, per intenderci, i centri d’eccellenza di riferimento, cioè la nostra serie A. Come avviene appunto per il calcio o in altri sport, dove il bambino della squadra dei pulcini o il ragazzino cintura bianca di karatè, hanno poi la concreta possibilità di arrivare alla nazionale, sia che questi sport siano praticati nel paesino vicino casa o nel centro federale allo stesso modo. Invece come vogliamo fare noi é come se volessimo affermare che solo le scuole calcio delle società di serie A hanno il diritto di insegnare a giocare a pallone ai bambini o ai ragazzi. In tutti i disegni di legge presentati sino ad ora, si commette l’errore fatale di voler escludere la danza dei primi anni o pre-professionale, allora tanto meglio cedere questa allo sport; dove però non esiste una nazionale della danza o il campionato nazionale delle compagnie di danza o ci siamo persi qualcosa?
E questo, lo diciamo non per denigrare lo sport che alla fine ci ha sempre accolto; anzi, per riscoprire entrambi i valori fondanti di ciascuno, dell’arte e dello sport, in cui non c’é niente di male. Siamo cosi preoccupati della disputa di chi é adeguato o meno ad insegnare, che pensiamo di aver risolto tutto con una formazione sportiva generica; che fa di tutto e talvolta anche bene, ma non é il suo!, che aldilà di aver creato un piccolo business sulle certificazioni, non produce di fatto nessun risultato sperato. Ora ti spieghi perché ti senti in qualche modo diverso da un istruttore sportivo? Tanto quanto questo crede che tu danzatore, insegnante o ballerino sia profondamente diverso da lui? Questa continua estromissione della danza “di base” dalla cultura artistica del nostro paese, sta danneggiando solo noi, che di gran lunga superiamo i numeri di tanti sport, come per il calcio per numero di frequentatori. La danza é una delle nobili arti perché porta con sé un linguaggio universale che appartiene a tutti, e non a pochi, e che è in grado da sempre di abbattere barriere culturali, religiose, politiche e di ogni diversità. Quindi tanto quanto del degrado istituzionale e di rappresentanza per lo sport nel nuovo governo, il mondo della danza dovrebbe preoccuparsi di tornare “al proprio posto” e di eliminare questo concetto sbagliato di fondo. La pratica e l’esercizio dell’insegnamento delle arti nel nostro paese é libero, e non solo perché é sancito nella costituzione: <Art. 33. – L’arte e la scienza sono libere e libero ne é l’insegnamento>> ma dovrebbe anche mirare a fornirne a tutti in egual misura gli strumenti per farlo, e non perché si é frequentata <L’accademia della cricca giusta>. Tanto sarà lo spettatore finale che come per il pittore del museo d’arte, con l’acquisto dei biglietti, avrà la possibilità di far crescere un’artista o meno; perché alla fine di tutto é cosi che funziona, no?…

C.B.

https://www.instagram.com/hubcrew.torino/

STUDIO21 PLAYLIST by Dansa Bling